Il sentimento anti-immigrazione minaccia il futuro dei Paesi ad alto reddito
Da Reform UK nel Regno Unito a Sanseito in Giappone, l’opinione pubblica sostiene chi propone confini chiusi e rimpatri. Ma andamento demografico e crisi climatica mostrano un domani in cui la mobilità tra Paesi sarà inevitabile.
Il 20 settembre all’Aia, nei Paesi Bassi, c’è stata una violenta protesta, guidata dall’attivista di estrema destra noto come “Els Rechts”: un’auto della polizia è stata incendiata e la sede del partito centrista Democratici 66 è stata danneggiata. Qualche giorno prima, a Londra, oltre 100mila persone avevano partecipato alla manifestazione “Unite the Kingdom”, promossa dall’attivista neofascista noto come Tommy Robinson. A fine agosto manifestazioni simili si sono viste in Giappone e in Australia.
Questi episodi non sono isolati. Raccontano la crescita di un sentimento anti-immigrazione nei Paesi sviluppati che, dalle ali dell’estrema destra, è ora al centro del dibattito pubblico. Nel suo discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il presidente Donald Trump ha invocato il diritto di ogni Paese a controllare i propri confini: “Quando le prigioni sono piene dei cosiddetti ‘richiedenti asilo’ che hanno ricambiato la gentilezza ricevuta con i crimini, è il momento di porre fine al fallimentare esperimento delle frontiere aperte” ha affermato.
Il Regno Unito in piazza contro l’immigrazione
Il Regno Unito è uno degli esempi più evidenti di questa tendenza. Nell’estate del 2024 in diverse città ci sono state violente proteste anti-immigrazione dopo l’uccisione di tre bambine a Southport da parte di un diciassettenne, nato in Galles da genitori ruandesi. L’episodio è stato strumentalizzato in una ampia campagna di disinformazione: influencer, attivisti e politici di estrema destra hanno diffuso la notizia falsa che il ragazzo responsabile dell’omicidio fosse arrivato nel Paese con un barcone e che fosse già noto alle forze dell’ordine come individuo potenzialmente pericoloso. A luglio del 2025 a Epping, una cittadina vicino a Londra, alcuni militanti di estrema destra e residenti hanno iniziato a protestare davanti a un hotel che accoglieva alcune decine di richiedenti asilo. Tra le persone ospitate c’era anche un uomo accusato di aver molestato una minorenne.
Per l’estrema destra questi episodi sono la prova del fallimento nelle politiche di accoglienza e dei rischi per la sicurezza dei cittadini. Si parla così di “riprendere il controllo dei confini”, “fermare le piccole barche” che attraversano il canale dalla Manica e di “espulsioni di massa”. Questa narrazione sta premiando il principale partito di estrema destra, Reform UK, che da mesi è primo nei sondaggi del Regno Unito. A fine agosto, il suo leader, Nigel Farage ha proposto un piano per espellere oltre 600mila richiedenti asilo. Si tratta di un programma che, se realizzato, prevederebbe la violazione delle leggi per la tutela dei diritti umani.
In Giappone cresce la retorica nazionalista
Una dinamica simile si osserva anche in Giappone. A luglio, alle elezioni per il rinnovo del Senato, il partito di estrema destra, ultraconservatore e nazionalista Sanseito (che significa “partito della partecipazione politica”) ha eletto 15 senatori. Nel 2022 aveva ottenuto solo un seggio. Il partito, che si ispira ai movimenti di estrema destra europei e statunitensi, ha al centro del suo programma il contrasto all’immigrazione, sia regolare sia irregolare. Durante la campagna elettorale il suo leader e fondatore, Sohei Kamiya, ad esempio, ha denunciato una “invasione silenziosa degli stranieri”.
Storicamente il Giappone è stato un Paese molto chiuso, ma negli ultimi anni la popolazione straniera è aumentata passando dai 2,2 milioni nel 2014 ai 3,7 milioni nel 2024, pari al 3% della popolazione, una percentuale comunque minore rispetto ad altri Paesi sviluppati (in Italia, ad esempio, è pari al 9%, negli Stati Uniti al 15%).
Il Giappone ha però bisogno di attirare forza lavoro per contrastare il declino demografico. “Richiesti dalle aziende a corto di personale, gli immigrati si stanno riversando nei settori della ristorazione, della distribuzione, della sanità, dell'edilizia e della produzione. Se il flusso continua al ritmo attuale, la popolazione straniera in Giappone supererà il 10% del totale entro il 2067, secondo l'Istituto per la popolazione e la sicurezza sociale” riporta Le Monde.

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Nei due grandi Paesi dell’Estremo Oriente nascono sempre meno bambini. L’aumento del costo della vita e i ritmi lavorativi scoraggiano le coppie giovani. “Urgono provvedimenti senza precedenti”.
Con lo slogan Nihonjin first (“prima i giapponesi”), Sanseito offre una risposta ai cittadini preoccupati per la situazione economica e per l’inflazione. È un malcontento esasperato anche dalla rabbia contro l’elevato numero di turisti, accusati di far aumentare i prezzi e di essere irrispettosi verso la cultura giapponese (ci si riferisce spesso ai turisti con il termine di meiwaku gaijin - “stranieri disturbatori”).
Un nuovo linguaggio
I discorsi pubblici dei leader di destra utilizzano sempre più espressioni come “invasione” o “orde”. Attraverso l’uso di questo linguaggio, l’immigrazione non è vista come un fenomeno sociale e demografico, ma come una minaccia da contrastare con urgenza. Alcune teorie del complotto sono passate dagli ambienti più radicali all’opinione pubblica. La più nota è quella della Grande sostituzione (Great replacement), l’idea che gli immigranti prenderanno il posto degli europei bianchi. Come riporta uno studio del Joint research centre dell’Unione europea, in Francia, ad esempio, la percentuale di persone che crede in questa teoria è passata dal 48% nel 2017 al 61% nel 2021. Questa nuova narrazione non è casuale, ma attinge a timori radicati e fa leva sulla scarsa conoscenza delle procedure di richiesta d’asilo per innescare una risposta difensiva e screditare il lavoro delle istituzioni, spiega il Joint research centre.
Negli ultimi mesi, inoltre, è aumentato nella destra europea il consenso sul concetto di “remigrazione”, l’idea di espellere con la forza tutte le persone straniere la cui presenza è ritenuta problematica, anche se in possesso di un regolare permesso di soggiorno. Come sottolinea il Guardian, si tratta di un termine apparentemente più accettabile e meno duro rispetto a “espulsione” o “deportazione di massa” che tuttavia è in netta contrapposizione con le norme internazionali per il rispetto dei diritti umani. Se ne è parlato anche durante le ultime elezioni in Germania, quando il partito Alternative für Deutschland (AfD) ha fatto propaganda elettorale con manifesti di aeroplani con la scritta “Sommer, sonne, remigration” (Estate, sole, remigrazione), e più recentemente in occasione del Remigration Summit che si è svolto a maggio a Gallarate, in provincia di Varese.
In Italia l’espressione “remigrazione” è utilizzata soprattutto da parlamentari ed europarlamentari della Lega, oltre che ad alcuni giornali di destra come La Verità. Proprio la Lega punta da anni sulle paure dei cittadini per la sicurezza per alimentare una retorica anti-immigrazione. “Per quel che mi riguarda, da ministro e cittadino italiano, il pericolo nelle nostre città non sono i carri armati sovietici, ma gli immigrati clandestini, spesso islamici, che ne combinano di tutti i colori” ha affermato il vicepremier Matteo Salvini in un recente incontro organizzato a Pinzolo (Trento).
Influenza digitale
Un ruolo fondamentale nella diffusione di questa propaganda è svolto dai social media e dagli influencer. Il leader delle manifestazioni di Londra, Tommy Robinson (il cui vero nome è Stephen Yaxley-Lennon), ad esempio, è molto attivo online: il suo profilo su X, che nel 2018 era stato sospeso per incitamento all’odio, ha oltre un milione di follower. Attivisti e influencer dell’estrema destra statunitense hanno iniziato a fare propaganda anti-immigrazione registrando video e interviste direttamente a Panamá: mostrano quasi solo giovani uomini, spesso definiti come “invasori” o “in età da militare”, mentre le donne e i bambini, che potrebbero generare maggiore empatia, sono assenti.

In America Latina clima, violenze e social spingono sempre più persone a partire
Mentre Trump promette di rimpatriare i migranti irregolari, le piattaforme stanno trasformando la narrazione della migrazione, tra racconti dei viaggi nella giungla e disinformazione dell’estrema destra.
Sui social media stanno diventando sempre più popolari fotografie e video generate dall’intelligenza artificiale per alimentare la rabbia contro le persone migranti, spiega Futurism. In molte di queste immagini si vedono donne o bambine bianche “circondate” da gruppi di uomini stranieri; in altre l’uomo bianco è rappresentato come un eroico difensore della patria.
Proprio sul senso di insicurezza e di pericolo costante fanno leva i contenuti pubblicati da gruppi di vigilantes che controllano le strade delle città o i confini con gli altri Paesi. A giugno del 2025, ad esempio, nei Paesi Bassi una decina di persone ha passato una notte fermando i veicoli al confine con la Germania e chiedendo di mostrare i documenti di identità. A luglio a Torre Pacheco, in Spagna, per tre notti alcune decine di persone di estrema destra hanno vandalizzato strade e negozi, prendendo di mira le persone di origine straniera, a seguito dell’aggressione a un pensionato di 68 anni. Queste persone si erano organizzate per “andare a caccia” di immigrati in una chat di un gruppo Telegram chiamata “Deport them now Spain”. Come riporta il Guardian, secondo Matthijs Gardenier, sociologo presso l'Università Paul-Valéry di Montpellier, nonostante i numeri relativamente piccoli, il ruolo sproporzionato che questi gruppi svolgono sui social media e sui media tradizionali consente loro di ridefinire potenzialmente il nostro modo di vedere la migrazione.
Percezioni distorte
I dati dimostrano tuttavia che non è in atto nessuna “invasione”: come sottolinea il rapporto Mixed migration reviewd 2024, nel 2024 il 70% dei migranti ha cercato rifugio nei Paesi vicini, senza mai tentare di raggiungere l’Europa o il Nord America.
Le politiche restrittive e di chiusura adottate dai Paesi occidentali rischiano di essere inefficaci in quanto spesso ignorano le cause profonde dei flussi migratori, come conflitti, disuguaglianze economiche o conseguenze dei cambiamenti climatici. Secondo i dati dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), nell’ultimo decennio il numero di persone sfollate a causa di guerre, violenze, persecuzioni e violazioni dei diritti umani è quasi raddoppiato, raggiungendo i 122,1 milioni alla fine dell’aprile 2025. L’Europa accoglie 13,2 milioni di rifugiati, oltre sei milioni provenienti dall’Ucraina.
Le differenze salariali e le opportunità lavorative nei Paesi più sviluppati sono un fattore attrattivo per chi proviene da Paesi a basso reddito. I migranti però non “rubano il lavoro”, ma permettono di sopperire alla mancanza di manodopera in alcuni settori come l’assistenza, l’agricoltura o l’edilizia. In Germania, ad esempio, il 70% dei lavoratori nel settore della cura degli anziani sono migranti. Il declino demografico e l’invecchiamento della popolazione renderanno questa richiesta strutturale: secondo le stime dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) nel 2060 in un quarto dei Paesi Ocse la popolazione in età da lavoro si ridurrà del 30%.

Senza immigrazione la popolazione dell’Ue calerà di 150 milioni entro fine secolo
L’avanzata dei partiti anti-immigrazione potrebbe accelerare il declino demografico in Europa. In Italia si passerebbe da 59 a 28 milioni di abitanti. L’analisi del Guardian sulle proiezioni demografiche.
A questi cambiamenti demografici si aggiungono le conseguenze del cambiamento climatico. Non esistono stime univoche sul numero di persone che potrebbero essere costrette a migrare a causa del clima a livello internazionale. La Banca Mondiale prevede che, entro il 2050, oltre 200 milioni di persone potrebbero spostarsi nel proprio Paese o nei Paesi vicini; altre stime, molto più ampie e controverse, parlano addirittura di più di un miliardo di persone potenzialmente in movimento a livello globale.
L’immigrazione, dunque, non è un fenomeno che può essere arginato con slogan o muri, ma una trasformazione globale destinata a incidere profondamente sulle società sviluppate. La difficoltà per i governi è riuscire a gestire i flussi, rispondere alle paure della popolazione e garantire un sistema di accoglienza e integrazione. Una sfida complessa, che richiede politiche coordinate a livello internazionale e investimenti a lungo termine, ben oltre la logica emergenziale e le semplificazioni della propaganda politica.
Copertina: Ansa